Tutti noi quotidianamente siamo posti di fronte all’alternativa se essere trasformati dal male che compiamo e contro cui non combattiamo più abituandoci ad esso, oppure essere trasformati dalla preghiera. Pertanto, in questa luce dovremmo pensare la preghiera non tanto come un’azione virtuosa ma piuttosto come una misura di sopravvivenza umana e spirituale, come ciò che impedisce al male di deformarci, di renderci cattivi o indifferenti o cinici o demotivati. Infatti, rinunciare a pregare, smettere la fatica della lotta contro la nostra pigrizia, ci porta a cadere nella tentazione e a cadervi sempre di nuovo, ma soprattutto ci porta a non avere più speranza, ad atrofizzare la nostra volontà di amare, a non credere più in noi stessi, a nutrire sfiducia negli altri, a non credere più alla preghiera, a non credere più tout-court. Ci porta a vivere facendo a meno del Signore e a chiuderci in noi stessi.
La preghiera è anche sforzo fisico, non meramente intellettuale. La tradizione parla di ginnastica della preghiera, intendendola in senso non metaforico, o almeno non solo spirituale. Se la preghiera arriva a dare una forma al corpo è anche perché essa chiede al corpo di parteciparvi, anzi di esserne il soggetto. La preghiera deve coinvolgere il corpo perché proprio e solo quando arriviamo a sentire il corpo possiamo dire che è partecipe della preghiera. La Sacra Scrittura (specificatamente nei Salmi), propone tale ginnastica: inginocchiarsi, inchinarsi, alzarsi, sedersi, prostrarsi faccia a terra, levare al cielo le mani in segno di supplica, tendere in avanti le braccia come in attesa di un dono, alzare gli occhi al cielo, e si potrebbe continuare a lungo… Ma poi la preghiera richiede anche silenzio. Il silenzio è faticoso, ma la mancanza di silenzio è ostacolo alla preghiera. La preghiera necessita di un silenzio pieno, un silenzio parlante, un silenzio di comunione, un silenzio per interiorizzare ciò che avviene dentro di noi. E questo dice anche la solitudine come elemento della preghiera, solitudine che è spazio di comunione. La comunione deve radicarsi nel profondo, non certo esaurirsi nell’essere fianco a fianco o nel mangiare alla stessa tavola o nel parlare insieme. E così, attraverso la fatica del corpo, l’ascolto, il silenzio, la solitudine tutti noi possiamo compiere un cammino spirituale in… questa valle di lacrime e lasciarci travolgere e trasfigurare dal mistero della preghiera a cui il nostro intimo anela.
(Luciano Manicardi, biblista)